Crisi e inefficienze del ruolo dell’istruzione, nelle tante criticità cui deve rispondere la scuola italiana. Ne parliamo con la Prof.ssa Maria Lizzio, ex cattedra di Letteratura italiana e Letteratura latina.

La crisi della scuola italiana e il futuro dell’istruzione nel nostro Paese. Un tema che ci ha suscitato subito curiosità e interesse, quando abbiamo appreso che recentemente l’organizzazione internazionale Save the Children ha pubblicato un rapporto preoccupante sul fenomeno della dispersione scolastica: l’Italia – con il tasso di uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione del 12,7% – si posiziona al terzultimo posto. Il dato diventa ancora più problematico se si considerano le disuguaglianze territoriali del Paese, con riferimento alla Sicilia, dove il tasso di abbandono degli studi è quasi il doppio rispetto alla media nazionale. Così, vista la delicatezza, l’importanza e la preoccupazione attuale e futura del tema emerso da questi dati, abbiamo pensato di intervistare la Prof.ssa Maria Lizzio, la quale attraverso una esaustiva e competente opinione da ex cattedra e addetta ai lavori, ci ha dato pregiati lumi su tanti punti essenziale per potere significare una crisi che ormai si è incancrenita negli anni. E allora, quali sono i punti nevralgici per risalire e migliorare il nostro sistema scolastico? Parliamone insieme!      

Prof.ssa Lizzio, i dati recenti sulla dispersione scolastica denotano una situazione particolarmente grave per le Regioni del Sud e, in particolare, per la Sicilia e la Puglia. Di chi sono le colpe di questo record negativo del nostro Paese?
”Scriveva don Lorenzo Milani, in quell’innovativo e illuminante trattato di pedagogia vissuta che è la “Lettera a una professoressa” (maggio 1967): “La scuola ha un problema solo: i ragazzi che perde”. Si tratta, invero, della perdita più grave per una società cui stia a cuore il suo futuro, eppure, i mali che affliggono la scuola si muovono in carovana, si aggregano e proliferano come cellule maligne in un organismo, tanto che non sempre è facile discernere cosa abbia generato cosa; certo è, però, che si stabilisce fra le varie tipologie di disagio un legame perverso che le rafforza. In ogni caso, essendo la scuola specchio della società, non sorprende che in regioni in cui si registrano più che altrove problemi atavici come disoccupazione, sottoccupazione, lavoro in nero, pericolosa assenza dello Stato, che apre spazi alla criminalità, non sorprende, dicevo, che la miseria non resti confinata in ambito economico e sia a rischio anche l’istruzione e la formazione dei giovani. Si aggiungano fragilità psicologiche dell’alunno, difficoltà di apprendimento, disorientamento tipico dell’adolescente, tutti problemi che necessitano di attenzione e cura. Bisognerebbe potenziare la scuola, tenerla sempre aperta, come le chiese, per aiutare a superare l’ingiusto divario fra il ragazzo seguito a casa e chi non può usufruire di questa possibilità, rendere la scuola più appetibile delle “sirene” della malavita… Ma non risulta che questi programmi siano mai stati in cima ai pensieri dei nostri governanti: così, drammaticamente, si allontanano dalla scuola proprio quelli che ne avrebbero maggiore bisogno, e le ingiustizie si perpetuano.

La pandemia e il sistema forzato di didattica da remoto, possono avere aggravato il sistema classico dell’insegnamento sui giovani?Sicuramente la pandemia, con l’isolamento forzato e la didattica a distanza, non ha fatto bene a nessuno e, tantomeno, a quegli studenti già svantaggiati. La formazione di un ragazzo non può avvenire attraverso uno schermo: è necessario il rapporto con i coetanei e con gli insegnanti, il calore e il coraggio che il contatto umano trasmette, lo sperimentare insieme e, anche, sbagliare ed essere aiutati a correggersi. L’aria della scuola va respirata senza filtri! L’insegnante, come il medico, non può “curare” da lontano: come ammoniva Seneca in una delle sue “Epistole a Lucilio”, “vena tangenda est”.

Quanto è importante ai fini di un miglioramento globale di studi, un eventuale potenziamento delle relazioni tra famiglia e scuola?
“Un corretto rapporto scuola-famiglia è fondamentale nel delicato percorso di crescita di un ragazzo, ma, purtroppo, questi due “pilastri” dell’educazione non sempre riescono a guardare nella stessa direzione. Duole dirlo, ma spesso i genitori non si mostrano all’altezza del loro compito: alcuni, molto distratti, sono convinti che il loro impegno si esaurisca nell’accompagnare il figlio fino al cancello della scuola e nel fornire il supporto economico; altri, insicuri e ansiosi, scaricano l’ansia sui figli e, vivendo ogni problema che si presenti come un attacco alla loro onorabilità o un fallimento personale, cercano di rimuoverlo o di incolparne chiunque, pur di allontanare da sé la frustrazione. Ma i ragazzi sanno ripartire se ricevono fiducia, se gli adulti che occupano un posto importante nella loro vita fanno capire che un brutto voto non è un destino e che, in ogni caso, non può venir meno l’amore nei loro confronti. Come diceva quel grande educatore che fu Danilo Dolci, bisogna saper “sognare gli altri come ora non sono”, perché “ciascuno cresce solo se sognato”.

Qual è il rimedio affinché la scuola possa migliorarsi di fronte alla crisi attuale che ha ripercussioni sulla vita sociale e culturale delle persone?
“Temo che un rimedio immediato non ci sia, ma alcune misure potrebbero, se non altro, avviare un processo di cambiamento a vantaggio delle giovani generazioni. Intanto, bisognerebbe investire di più nella scuola: non è accettabile che si continui a mortificarla con locali inadeguati, dove si rischia che crolli un pezzo di tetto, o manca il riscaldamento d’inverno e si soffre il caldo nella primavera inoltrata, si studia stipati in spazi angusti, manca una palestra, o laboratori degni di questo nome, una buona biblioteca e altri strumenti didattici. Se la scuola è trattata come una cenerentola, tutti si abituano a trattarla come tale e ne smarriscono il senso e la profonda bellezza. La scuola va amata! E bisognerebbe retribuire meglio i professori, che svolgono un lavoro essenziale, delicato e difficile, ma non si può chiedere loro la vocazione… al martirio! Bisognerebbe, però, anche formarli e selezionarli meglio, perché un insegnante trasmette non solo ciò che sa, ma, soprattutto, ciò che è, e nessuno può fare a un giovane tanto bene o tanto male quanto un docente. Insomma, è urgente che la scuola recuperi quel prestigio che negli ultimi decenni si è progressivamente e drammaticamente assottigliato, e che ci si renda conto che essa non è un’industria, che il preside non è un dirigente e che gli insegnanti non sono lavoratori ad ore, così come gli alunni non sono clienti: una rivoluzione, ma indispensabile!  

Se dovessimo cercare le cause concrete di questo peggioramento della scuola, del suo sistema e dei giovani che hanno perso il desiderio di imparare, conoscere e sapere, a chi si deve dare la responsabilità?
Da quello che si è detto fin qui, si deduce che le responsabilità partono dall’alto e, via via, come un fiume che s’ingrossa, se ne aggiungono a tutti i livelli. Certamente, la società di oggi non vede più nella scuola, come un paio di decenni fa, un ascensore sociale, né è attenta al valore dell’istruzione come nel passato, quando la persona poco scolarizzata aveva stima di chi, invece, aveva avuto la fortuna di istruirsi e faceva di tutto perché almeno i figli raggiungessero quell’ambito traguardo. Oggi i nuovi valori sono la ricchezza, il successo, la fama, anche effimera, e bisogna raggiungere l’obiettivo il più velocemente possibile; le nuove tecnologie, poi, creano l’illusione del sapere a portata di mano… Dunque, la scuola ha da sostenere una guerra difficile, più che nel passato! Ci vogliono mezzi economici, ma anche l’intelligenza e il cuore di chi sceglie di dedicare la propria vita alla formazione dei giovani.  

Il fatto che l’Italia del lavoro non offra più sbocchi occupazionali per i giovani, può essere tra le cause più significative di demotivazione e abbandono dello studio?
“Certo, non è bello, dopo un lungo e impegnativo percorso di studi, ritrovarsi disoccupati o a fare “lavoretti” per tirare avanti. Il presente è complesso anche sotto questo aspetto e le stesse moderne tecnologie riducono i posti di lavoro; però, è anche vero che negli ultimi decenni tanti tagli, che sfiorano la follia (anche se la chiamano “razionalizzazione”…) hanno colpito settori vitali come la sanità e la stessa scuola: ma a chi servono le lunghe liste d’attesa per una visita specialistica o un intervento chirurgico? Ed è davvero razionale che uno Stato costringa ad emigrare i suoi ricercatori, nei vari ambiti, dopo aver sostenuto le spese della loro formazione? E ancora, tornando alla scuola, a chi servono le “classi pollaio”? Sicuramente non agli alunni e, contemporaneamente, un numero più contenuto di ragazzi per classe significherebbe anche creare altri posti (necessari!) di lavoro. Durante la crisi finanziaria del 2008, il presidente degli U.S.A.Barack Obama aumentò l’impegno economico per la scuola: “Quando un aereo è in avaria”, spiegò, “non si può buttar via il motore!”.

E’ vero che anche dal punto di vista politico e dei vari governi che si sono succeduti in questi anni in Italia, non si è mai tenuta seriamente in considerazione l’importanza di migliorare la scuola?
Ѐ vero, purtroppo: tanto, i ricchi, a destra o a sinistra, sanno come cavarsela.

Per finire Prof.ssa Lizzio, quali sono le speranze concrete per una scuola migliore in Italia?
Una speranza potrebbe venire dall’attuazione dei Patti educativi di comunità, previsti dal ministero dell’Istruzione nel Piano scuola 2020/2021 e che si basano sul coinvolgimento di tutti i soggetti di un territorio nel portare avanti progetti educativi vari e mirati. L’idea di base è bellissima, perché tutta la comunità dovrebbe sentire il dovere di aiutare i suoi ragazzi a diventare uomini e cittadini consapevoli. Ma mi piace ricordare, soprattutto, che noi abbiamo alle spalle una grandissima tradizione culturale e pedagogica, e io non credo che la si possa dissipare o ignorare completamente. Ѐ vero, ci sono tanti segni di ignoranza, di incuria, di superficialità, ma è altrettanto vero che noi Italiani, fin da piccoli, “inciampiamo” nella bellezza, nell’arte, nella memoria dei “giganti” che ci hanno preceduto, e fondamenta così robuste suscitano la speranza di superare questo lungo e grigio periodo di crisi. Io credo nella forza delle radici! E poi, ho fiducia nell’uomo, nella sua intelligenza e insopprimibile sete di conoscenza. Grazie a queste doti, benché più fragili di tante altre specie di questo pianeta, siamo sopravvissuti a tante crisi, inventando, scoprendo, guardando in tutte le direzioni. Noi, non altri, siamo chiamati a lavorare per risolvere i problemi che abbiamo creato: “Il lavoro, l’impegnativo lavoro muove le montagne”, diceva Danilo Dolci, ma, prima ancora, è l’amore per il proprio lavoro a dirigere i passi nella direzione giusta.

Salvino Cavallaro

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